BES: Bisogni Educativi Speciali. È l’acronimo più usato recentemente nella scuola italiana. Raggruppa tutti gli alunni che, per motivi anche molto diversi tra loro, si trovano in difficoltà e hanno bisogno di un aiuto specifico da parte dei loro insegnanti. Come Marta, con disabilità dalla nascita. O Gherzi che, appena arrivato nel nostro Paese, ancora non comprende bene l’italiano. Giacomo, che sta vivendo la separazione tra i suoi genitori. E Giulia, dislessica e disgrafica.Definizione e inquadramento Storicamente la nozione di Bisogni Educativi Speciali compare per la prima volta in Inghilterra nel Rapporto Warnock del 1978. In questo documento veniva suggerita la necessità di integrare gli alunni considerati “diversi” attraverso l’adozione di un approccio inclusivo, basato sull’individuazione di obiettivi educativi comuni a tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro abilità o disabilità. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito la nozione di BES nella sua Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute spiegandola con queste parole: “Qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata”. La necessità di prevenire ogni forma di discriminazione e di promuovere la piena partecipazione di tutti alla vita scolastica è alla base anche della direttiva ministeriale italiana del 27 dicembre 2012, intitolata Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica. È la frontiera più avanzata di un lungo percorso iniziato nel 1977 con la Legge 517, che portò i bambini con disabilità dentro le classi, abolendo le scuole speciali dove fino ad allora venivano relegati. L’Italia, prima in Europa, sancì il loro diritto a ricevere un’istruzione pari a quella di tutti gli altri, seppure modulata sulle loro esigenze, e istituì la figura dell’insegnante di sostegno. Da allora abbiamo compiuto continui e importanti passi avanti nel processo di inclusione, fino ad arrivare a un sistema talmente avanzato da essere un unicum nel nostro continente.Le diverse categorie di BES La direttiva ministeriale del 2012 individua diverse categorie di BES, includendo tutti quei bambini e ragazzi che presentano difficoltà, anche transitorie, che impediscono il normale apprendimento e richiedono interventi individualizzati: Alunni con disabilità previste dalla Legge 104/1992: “Coloro che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”; Alunni con disturbi evolutivi specifici, ossia disturbi dell’apprendimento, deficit del linguaggio o della coordinazione motoria, previsti dalla Legge 170/2010. Tra questi, i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) sono problemi di origine neurobiologica non legati a deficit cognitivi, tanto che per essere diagnosticati è necessario che il bambino abbia un quoziente intellettivo pari o superiore alla media. Eppure, rendono estremamente complesso e faticoso l’apprendimento. L’esempio più noto è quello della dislessia: i bambini che ne soffrono faticano a riconoscere le lettere, a mettere insieme le sillabe, a comprendere quale parola compongano. E in questo sforzo di decifrazione spesso sfugge loro il senso del testo che stanno leggendo. Accanto a questo, la disgrafia (difficoltà di scrittura), la discalculia (difficoltà nell’esecuzione di calcoli, nel contare, nel mettere in colonna e in successione i numeri) e la disortografia (gravi difficoltà nel seguire le norme ortografiche); Alunni con svantaggio socioeconomico, linguistico o culturale, come spiega la direttiva: “Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare dei Bisogni Educativi Speciali per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”. Un lutto, una lunga malattia, uno stato di povertà materiale o educativa, difficoltà di apprendimento non certificabili, la separazione dei genitori, una crisi affettiva, il trasferimento in un altro Paese, sono tutte possibili cause di BES.Quanti sono gli alunni con BES? Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, nell’anno scolastico 2020/21 gli alunni con disabilità erano 268mila su un totale di 7 milioni e mezzo. Gli insegnanti di sostegno 152mila. Un rapporto migliore di quello previsto per legge (2 a 1) ma il vero problema è un altro. Secondo un’analisi dell’Istat sui dati dell’anno scolastico precedente, nel 37% dei casi si selezionano gli insegnanti di sostegno da una lista di docenti curriculari, che non hanno una formazione specifica per supportare l’alunno con disabilità. Nel 2019/20 gli alunni con Bisogni Educativi Speciali diversi dalla disabilità erano invece circa 685mila (l’11% dei ragazzi delle medie e il 6,5% dei bambini delle elementari). Oltre la metà di questi (il 53%) sono alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Il 35% presenta invece difficoltà dovute allo svantaggio socioeconomico, linguistico o culturale. La strada per rendere concreto il sogno dell’inclusione “all’italiana” è ancora lunga, se pensiamo che (sempre secondo il rapporto Istat) solamente una scuola su tre ha eliminato le barriere architettoniche e appena il 2% dei plessi dispone di tutti gli ausili senso-percettivi destinati a favorire l’orientamento di chi ha difficoltà. E durante il lungo periodo di didattica a distanza (DAD) imposto dalla pandemia, quasi il 23% degli alunni con disabilità non ha potuto partecipare alle lezioni.Normativa e certificazioni Nella Circolare 8/2013, che segue la direttiva del 2012, il Ministero chiarisce che devono essere i Consigli di classe o i gruppi docenti nelle scuole primarie a individuare i casi in cui si ritiene opportuno e necessario adottare una personalizzazione della didattica. Gli alunni con disabilità presentano di prassi una certificazione medica che attesta la loro condizione. Anche i Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono essere certificati solamente con la diagnosi di uno psicologo, di un neuropsichiatra o, in alcune regioni, anche di un logopedista. Gli altri casi di BES, invece, non sono il risultato di una diagnosi clinica. Si tratta di difficoltà puramente pedagogiche, e per questo la normativa dà ai docenti la responsabilità di individuare questi casi e affrontarli con un Piano Didattico Personalizzato (PDP).Strategie di intervento: il Piano Didattico Personalizzato Il PDP è deliberato dal Consiglio di classe o dal gruppo docenti e firmato dal dirigente scolastico, dagli insegnanti e dalla famiglia. Contiene tutte le modifiche alla didattica standardizzata che si ritiene opportuno mettere in campo per aiutare l’alunno in questione. L’obiettivo è quello di sostenere i ragazzi e costruire sui loro punti di forza. Un esempio sono le cosiddette misure compensative e dispensative: l’uso di strumenti di supporto come il registratore, la calcolatrice, la smart-pen (che può aiutare a prendere appunti attraverso un software) o l’utilizzo di app che consentono di leggere i testi a schermo e di scrivere sotto dettatura. Anche strumenti analogici possono tornare utili: tabelle, formulari, mappe concettuali per orientarsi meglio in un testo complesso. Se necessario, può essere previsto un tempo più lungo per sostenere alcune prove, oppure ridurre la quantità di compiti a casa assegnati. O, ancora, valutare le interrogazioni orali piuttosto che le verifiche scritte. Tutti questi accorgimenti servono a rendere la didattica maggiormente inclusiva, ovvero a far arrivare il messaggio del docente a tutti gli alunni con la stessa forza e chiarezza. Non si tratta affatto di una didattica meno approfondita o semplificata. A questo proposito, anche noi di Enel Cuore abbiamo contribuito negli ultimi anni a favorire l’inclusione scolastica di studenti con BES attraverso il finanziamento di numerosi progetti presentati da associazioni operanti nel Terzo Settore in partenariato con gli istituti scolastici.Bisogni Educativi Speciali e inclusione Negli anni le parole usate per riferirsi al mondo della disabilità e a quello della scuola sono cambiate. Siamo passati dal termine inserimento a integrazione e infine a inclusione. Non sono per niente sinonimi. Inserimento suggerisce un processo additivo: un alunno si aggiunge a un gruppo e deve adattarsi al suo funzionamento. Integrazione fa riferimento invece a uno scambio tra l’alunno integrato e la classe che lo integra. Negli ultimi anni però si parla di inclusione. Non c’è nessuno da inserire o integrare, perché non esiste uno standard a cui il “diverso” deve uniformarsi. Serve, quindi, una didattica che si adatti agli individui, tutti diversi tra loro e ciascuno con il proprio stile di apprendimento, che compongono una classe reale. Alcune metodologie didattiche sono giudicate più “inclusive” rispetto ad altre: quelle basate sulla cooperazione e sull’apprendimento tra pari, le attività laboratoriali, la didattica esperienziale e all’aria aperta, le metodologie di soluzione dei problemi, i compiti di realtà. Sempre inclusivo è l’utilizzo delle tecnologie, così come quello di più canali percettivi: uditivo, visivo, tattile, cinestetico (apprendere attraverso il movimento). D’altra parte, i più recenti studi di neuroscienze dimostrano che ci sono tanti stili di apprendimento quanti siamo noi. La diversità è un valore, e le strategie di insegnamento devono puntare a garantire il successo formativo di tutti.