Cos’è l’autonomia sociale La parola autonomia deriva dalle parole greche αὐτός (stesso) e νέμω (governare): letteralmente, quindi, significa “governare sé stesso”. È un termine che può riferirsi a svariati contesti, dalla politica fino alla psicologia e alla pedagogia. In relazione a un singolo individuo, spesso l’autonomia è confusa con il concetto di indipendenza, ma il suo significato è in realtà ben più ampio, e riguarda l’essenza stessa della vita di una persona. Autonomia personale e sociale Autonomia significa “saper far da sé” e “non dover dipendere dagli altri”, ma essere davvero autonomi è qualcosa che va oltre la capacità di compiere semplici azioni da soli: significa soprattutto avere il completo controllo della propria vita, essere in grado di prendere decisioni e assumersi responsabilità, godendo al massimo delle autonomie raggiunte. Tale autonomia personale riguarda anche la capacità di intrattenere relazioni interpersonali e di avere comportamenti adeguati al contesto sociale in cui si vive: stiamo parlando della cosiddetta autonomia sociale. Essere socialmente autonomi spesso è molto più complicato che esserlo individualmente, sia per l’esistenza di specifiche difficoltà personali nella socializzazione, sia per la presenza di contesti sociali che non favoriscono il pieno sviluppo dell’autonomia sociale, in particolare in riferimento alle categorie di persone più fragili.Educare all’autonomia sociale Lo sviluppo delle abilità e delle competenze necessarie a favorire l’autonomia personale e sociale rappresenta uno degli obiettivi cardine di qualunque strategia educativa. Il celebre metodo Montessori, tuttora praticato in decine di migliaia di scuole in tutto il mondo, ha proprio nell’autonomia (oltre all’autodisciplina) una delle sue parole chiave. La stessa Maria Montessori – a sottolineare l’importanza di un’educazione all’autonomia il più possibile efficace – spiegava che il bambino, nei suoi primi anni di vita, “può costruire e affinare competenze fondamentali, attraverso l’adeguato esercizio dei sensi e del movimento, per condurre in modo indipendente una vita adulta”. Raggiungere tali competenze è naturalmente un processo graduale, in cui gioca un ruolo cruciale anche l’ambiente in cui il bambino si trova, che deve offrire occasioni di attività e stimoli capaci di favorire lo sviluppo anche della parte più strettamente sociale dell’autonomia. In particolare, il Center on the Developing Child dell’Università di Harvard ha individuato tre competenze (o funzioni esecutive) che devono essere sviluppate nei primi anni di vita: la memoria di lavoro, che governa la nostra capacità di conservare e manipolare diversi tipi di informazione in brevi periodi di tempo, la flessibilità cognitiva, che ci permette di saper applicare regole diverse a seconda del contesto, l’autocontrollo inibitorio, che regola la nostra capacità di fissare priorità e resistere ad azioni impulsive. Non si tratta di competenze innate, sebbene i bambini nascano con il potenziale di svilupparle. Alcuni lo fanno rapidamente e quasi del tutto autonomamente, ma altri hanno maggiore necessità di supporto dall’esterno: è soprattutto in quest’ultimo caso che le relazioni con gli adulti, l’ambiente esterno e il contesto sociale rivestono un’importanza fondamentale.Autonomia e disabilità Oltre al contesto familiare, dunque, anche quello scolastico gioca un ruolo decisivo nella costruzione dell’autonomia personale e sociale. E la parola autonomia, a scuola in modo particolare, fa rima con inclusione: un concetto, quest’ultimo, che assume un significato delicato soprattutto quando in classe sono presenti alunni o alunne con disabilità. L’inclusione sociale degli alunni con disabilità è un presupposto fondamentale per il raggiungimento della loro autonomia sociale. La scuola italiana, fortunatamente, già da diversi decenni ha avviato un percorso di crescente consapevolezza nei confronti del problema della didattica inclusiva, sebbene la strada da percorrere non sia ancora del tutto completata. Uno snodo fondamentale è stato sicuramente la Legge 104 del 1992, nota anche come “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. Uno dei punti chiave della legge è stato quello di istituire il Piano Educativo Individualizzato (PEI), un progetto educativo che ogni Consiglio di classe è chiamato a elaborare per venire incontro alle esigenze di ciascun alunno con disabilità certificata. La legge impone quindi la stesura di un PEI diverso per ogni studente diversamente abile: la personalizzazione della didattica, infatti, rappresenta il presupposto di qualunque forma di inclusione. Di solito il PEI è un documento che include sia un’analisi delle condizioni di partenza sia le attività da svolgere in senso più operativo, ed è redatto in collaborazione tra i docenti, l’insegnante di sostegno e la famiglia. Più di recente non sono mancate ulteriori innovazioni legislative, come per esempio il Decreto legislativo 66/2017 sull’inclusione scolastica, che tra le altre cose ha introdotto la possibilità di usare all’interno del PEI la classificazione ICF-CY, ossia la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, permettendo così un approccio ancora più scientifico e rigoroso nella definizione del percorso formativo degli alunni con disabilità.Donne e autonomia Il tema dell’autonomia sociale delle donne, tra i più delicati e rilevanti, è legato a doppio filo al percorso dell’emancipazione femminile. Se si pensa che fino a poco più di un secolo fa, in Italia, le donne non potevano votare, non erano libere di disporre del denaro guadagnato con il loro lavoro e non potevano nemmeno promuovere un’azione legale, non c’è dubbio che i passi avanti fatti nel corso degli ultimi decenni in tema di autonomia sociale femminile siano stati enormi. Tuttavia resta ancora molto da fare. Tra i tanti aspetti che ancora limitano la piena autonomia delle donne c’è sicuramente quello relativo al raggiungimento della parità retributiva: sul lavoro, le donne sono ancora pagate meno degli uomini, come testimonia l’ultima rilevazione del Women in Work Index, secondo cui globalmente esiste uno scarto medio di circa il 15% tra la retribuzione degli uomini e quella delle donne (con forti oscillazioni a seconda dei Paesi). Questo scarto, peraltro, aumenta per le donne che hanno figli, e la recente pandemia da Covid-19 non ha certo migliorato la situazione. La mancata parità sul lavoro ha l’ovvia conseguenza di frenare, per le donne, il raggiungimento di un’altra fondamentale forma di autonomia, ossia quella economica: finché le donne non saranno, del tutto o in parte, indipendenti economicamente non potranno mai dirsi totalmente autonome.Strategie di miglioramento Come già sottolineato, l’educazione all’autonomia passa necessariamente attraverso l’inclusione sociale: un approccio che in ambito scolastico non riguarda soltanto gli alunni disabili, ma più in generale tutti quei bambini e ragazzi che rischiano di essere discriminati o esclusi dalle strategie educative a causa di particolari condizioni di svantaggio o di fragilità. La necessità di un impegno efficace per garantire l’autonomia sociale delle persone, in particolare di quelle disabili, è sancita anche dall’articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che riconosce a tutte le persone con disabilità il diritto “a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone”, attraverso misure efficaci e adeguate per facilitare il pieno godimento di questo diritto. In quest’ottica, ricordiamo Mettiamo su casa!, una call for ideas che ha portato a selezionare 7 progetti per sostenere la vita autonoma di persone maggiorenni con disabilità intellettiva e relazionale, favorendo anche forme di cohousing. Ma l’importanza dell’inclusione sociale è tangibile anche in ambito aziendale, dove la valorizzazione delle diversità crea valore ed è un vero motore di innovazione, portando risultati concreti. Un documento della società di consulenza McKinsey del 2018, Delivering through Diversity, ha calcolato che le aziende con una composizione etnica mista hanno una probabilità di successo superiore del 35% rispetto alle altre. Sono sempre di più le realtà aziendali che si stanno muovendo in questa direzione, e anche il nostro Gruppo è impegnato fortemente nel promuovere l’inclusione a tutti i livelli, tanto da aver inserito nel piano di sostenibilità 2019-2021, la diversità e l’inclusione come parametri di riferimento per misurare gli obiettivi da raggiungere. Ma il percorso nasce da molto più lontano, con una serie di iniziative e azioni specifiche proposte nel corso degli anni volte a favorire la cultura dell’inclusione a 360 gradi.