“Tutti significa tutti”. S’intitola così il Global Education Monitoring Report 2020 dell’UNESCO, il rapporto annuale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura dedicato all’educazione e all’inclusione nel mondo. Cos’è l’educazione inclusiva? Parlare di educazione per tutti e quindi di educazione inclusiva significa garantire che ogni studente si senta valorizzato e rispettato, e possa godere di un autentico senso di appartenenza. Significa fare ogni sforzo per eliminare tutti i possibili ostacoli all’inclusione: la discriminazione basata sul genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, la ricchezza, la disabilità, la lingua, la migrazione, la religione o altri credi. Ma anche l’esclusione dovuta alla mancanza di mezzi, alla lontananza dagli edifici scolastici, alla carenza di strumenti tecnologici (durante la pandemia da Covid-19 questo è stato un elemento cruciale). Educazione inclusiva vuol dire anche evitare di stigmatizzare i bambini, appiccicando loro un’etichetta che limita le loro potenzialità. Significa, soprattutto, considerare la diversità un valore, e comprendere che un approccio diversificato nell’insegnamento può portare benefici a tutti gli studenti.Perché è importante “L’educazione – dichiara ancora l’UNESCO – è essenziale per costruire società inclusive e democratiche, nelle quali le differenze di opinione possano essere liberamente espresse e un’ampia gamma di voci diverse possano venire ascoltate”. Un’educazione inclusiva porta ogni studente a diventare effettivamente e pienamente cittadino della propria comunità ed è il prerequisito per democrazie basate sull’equità e la giustizia. Favorisce il dialogo interculturale e contrasta l’abbandono scolastico, il bullismo e ogni forma di prevaricazione, veicolando valori di giustizia sociale e rispetto dei diritti umani e delle diversità. Anche l’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU fa esplicito riferimento al raggiungimento di un’educazione di qualità, equa e inclusiva per tutti. Ma il ruolo dell’educazione è considerato strategico anche nel raggiungimento di altri obiettivi dell’Agenda relativi alla salute, all’eguaglianza di genere, al lavoro dignitoso, al consumo e alla produzione responsabile, alla crescita economica, perfino al contrasto ai cambiamenti climatici.L’educazione: un diritto fondamentale e universale L’educazione è un diritto fondamentale. Un’educazione per tutti è dunque un imperativo morale. Ma l’educazione inclusiva non è ancora una realtà. È piuttosto un processo, un cammino nel quale tutti i Paesi sono coinvolti, naturalmente a diversi stadi. Secondo il report dell’UNESCO, 258 milioni di bambini e ragazzi in tutto il mondo sono esclusi dal sistema scolastico (il 17% in generale, ma il 31% in Africa e il 21% in Asia Centrale e del Sud). In tutti i Paesi (tranne le nazioni ricche di Europa e Nord America) soltanto il 18% dei giovani più poveri riescono a completare la scuola secondaria, al contrario dei coetanei nati in famiglie abbienti, che ci riescono al 100%. Per i ragazzi con disabilità, un quarto dei Paesi dispone l’istruzione in scuole speciali separate, il 10% opta per l’integrazione in scuole standard e solo il 17% si spinge verso una piena inclusione. Quasi la metà adotta invece sistemi misti.La realtà scolastica L’educazione inclusiva è certamente un ideale alto, ma le difficoltà per raggiungerlo non sono soltanto materiali. Creare un sistema che risponda allo specifico bisogno di ogni singolo studente, inclusi i bambini e i ragazzi con disabilità gravi, può paradossalmente portare anche a effetti negativi. Gli sforzi per includere possono inavvertitamente trasformarsi in pressioni per conformare a uno standard, affievolire il senso di identità di alcuni gruppi e finire per marginalizzare ancora di più. Nel caso di studenti con disabilità, l’educazione inclusiva e l’abolizione delle scuole speciali vuole garantire il rispetto della dignità di queste persone, valorizzare al massimo le loro abilità mentali e fisiche, i loro talenti e la loro creatività. Eppure, si legge nel rapporto UNESCO, in alcune situazioni aver inserito i bambini con disabilità nelle scuole statali ha abbassato la qualità della loro istruzione. Per questo la Commissione per i Diritti delle Persone con Disabilità chiarisce che “trasferire studenti con disabilità nelle classi standard senza accompagnare questo processo con cambiamenti strutturali nell’organizzazione, nella definizione del curriculum, nelle strategie di insegnamento, non costituisce inclusione e non garantisce automaticamente la fine della segregazione” (General Comment n° 4).Inclusione e bisogni educativi speciali In Italia, la direttiva del Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca del 27 dicembre 2012 è alla base della politica inclusiva nel nostro Paese in ambito scolastico. Individua diverse categorie di Bisogni Educativi Speciali (BES): comprendono tutti quei bambini e ragazzi che presentano difficoltà, anche transitorie, che impediscono il normale apprendimento e richiedono interventi individualizzati. Per esempio, alunni con disabilità, con disturbi dell’apprendimento, deficit del linguaggio o della coordinazione motoria. Anche un lutto, la separazione dei genitori o la recente immigrazione possono essere cause transitorie di BES. In tutti questi casi i docenti sono tenuti a personalizzare la didattica, per venire incontro a questi bisogni. Viene redatto per ogni alunno un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che può prevedere l’uso di strumenti di supporto, sia digitali sia analogici, tempi più estesi per sostenere alcune prove, oppure quantità ridotte di compiti a casa.Metodologie didattiche differenti Non esiste più dunque uno standard cui il “diverso” deve uniformarsi. C’è invece una classe di individui concreti, ciascuno con il proprio bisogno educativo, ciascuno con il proprio stile di apprendimento. E l’insegnante deve trovare strategie efficaci per tutti. Personalizzare la didattica richiede preparazione, fantasia, pazienza, energia. Non basta più, per esempio, scrivere alla lavagna una nuova lettera dell’alfabeto e farla copiare sul quaderno, perché ci sono bambini per i quali questo non è un messaggio sufficiente. Meglio proporla in tante modalità diverse: realizzarla con la pasta modellabile, il legno o altri materiali, chiedendo agli alunni di riconoscerla al tatto, in modo da fissarla nella memoria”; associarla a un’immagine, per sfruttare la memoria visiva, o a una canzone. Il consiglio dei pedagogisti è quello, in sostanza, di adottare strumenti didattici e metodi diversi, di avere una “cassetta degli attrezzi” molto ricca e modi differenti di organizzare la classe. I principali sono la didattica cooperativa, quella laboratoriale, oltre all’uso di tutti i diversi canali di comunicazione: uditivo, visivo, tattile, cinestetico.Le tecnologie didattiche per l’inclusività I docenti specializzati nell’insegnamento ai ragazzi con BES sono abituati a usare le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC). Sono strumenti che possono favorire l’autonomia dei bambini con disabilità o difficoltà, ma possono tornare utili anche agli altri alunni. Per questo è bene che tutti i docenti, non solo quelli specializzati, abbiano familiarità con questi software. Ad esempio ci sono: programmi che permettono, attraverso la sintesi vocale, di facilitare la lettura e la scrittura; editor di testi che abbinano le immagini alle parole; calcolatrici “parlanti”; funzioni per creare mappe concettuali, schemi e riassunti. Esistono inoltre strumenti di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) che consentono la scrittura simultanea di testo e pittogrammi, cioè figure. Questi facilitano lo sviluppo di materiali e l’adattamento di testi per persone che hanno difficoltà nella comunicazione funzionale, ma si sono rivelati utili anche nell’avviamento alla letto-scrittura dei più piccoli.Ambienti di apprendimento comuni L’educazione inclusiva ha bisogno di ambienti di apprendimento pensati allo scopo. Un ambiente di apprendimento non è soltanto costituito dall’aula e dagli arredi che accolgono gli studenti. È piuttosto uno spazio mentale, culturale, organizzativo e affettivo. E comprende gli insegnanti, gli allievi, gli strumenti culturali e tecnici, il “clima” che si respira in classe. Una classe inclusiva, secondo Save the Children: è una classe rispettosa, dove nessun bambino viene marginalizzato; è una classe bambino-centrica, per cui gli insegnanti pensano in maniera personalizzata alle attività da svolgere; è una classe salutare, in cui il bambino si sente a proprio agio e non esistono barriere architettoniche e mentali; è una classe protettiva, al cui interno ogni bambino è protetto da abusi e violenze, verbali e fisiche, e tutti sono incoraggiati a proteggere il prossimo; infine, è una classe famigliare, perché i genitori vengono inclusi nel processo educativo. Un obiettivo che si è posto il progetto Fare Scuola grazie al quale, insieme a Fondazione Reggio Children, abbiamo creato nuovi spazi di apprendimento e migliorato gli ambienti scolastici per favorire le relazioni, la condivisione, la creatività in tutte le sue forme e contribuire a un’istruzione di qualità, equa e inclusiva, come indicato dall’SDG 4 dell’Agenda 2030.Il legame tra educazione inclusiva e inclusione sociale L’Agenzia Europea per i Bisogni Educativi Speciali e l’Educazione Inclusiva (un’organizzazione indipendente e autonoma cofinanziata dai ministeri dell’Istruzione dei relativi Stati membri e dalla Commissione Europea) ha pubblicato nel 2018 una rassegna intitolata Elementi di prova del legame tra educazione inclusiva e inclusione sociale. La rassegna ha riguardato sia l’inclusione sociale a breve termine (vale a dire il periodo in cui i bambini diversamente abili frequentano la scuola) sia quella a lungo termine (ossia quando le persone con disabilità terminano la scuola dell’obbligo). I risultati suggeriscono che esiste un legame tra educazione inclusiva e inclusione sociale negli ambiti dell’istruzione, dell’occupazione e della vita nella comunità. L’educazione inclusiva aumenta le opportunità di interazioni tra pari e la formazione di amicizie strette tra studenti con e senza disabilità. Inoltre, aumenta la probabilità che le persone con disabilità vengano impiegate. Essere formati in un ambiente differenziato, con curricula speciali, garantisce magari un’occupazione in luoghi protetti, ma questo probabilmente contribuisce all’isolamento piuttosto che all’inclusione sociale delle persone con disabilità. Essere formati in un ambiente inclusivo porta invece a qualifiche e competenze scolastiche e professionali che aumentano la probabilità di scegliere altre forme di occupazione, come l’occupazione assistita, il collocamento diretto e il lavoro autonomo, aumentando le opportunità di una vita indipendente.