Una semplice sigla per definire un fenomeno complesso: cosa significa NEET? Cosa indichiamo con questo acronimo? I NEET sono quei giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono né occupati né inseriti in un percorso di istruzione o di formazione: l’acronimo significa infatti Not in Education, Employment or Training. Questi giovani, dunque, non sono inseriti in alcun tipo di educazione scolastica o universitaria e in nessun genere di processo formativo, come corsi professionali, tirocini o stage. Quanti sono i Neet in Italia? In Italia, 1,67 milioni di giovani, quasi 1 su 5, non studia e non lavora. I giovani NEET rientrano in una serie di categorie principali: giovani madri, ragazze che si occupano della cura della famiglia e che non hanno e non cercano lavoro; ragazzi soggetti a dispersione scolastica, soprattutto giovani maschi tra i 15 e i 19 anni, che vivono ancora con la famiglia d’origine e hanno abbandonato gli studi; giovani che vivono di lavoretti precari, in maggioranza ragazze impiegate in lavori temporanei perché non riescono a trovare un’occupazione stabile; giovani che hanno subito le conseguenze del lockdown, a livello personale e lavorativo, vivendo una transizione tra scuola e lavoro ancora più difficile; giovani troppo qualificati con un titolo di studio elevato, che non trovano nel mercato del lavoro offerte adeguate. L’Italia ha una percentuale di NEET tra le più alte in Europa: la media dell’Unione Europea, infatti, si assesta attorno all’11%, con l’obiettivo di scendere sotto il 9% entro il 2030; nel nostro paese, invece, il fenomeno NEET arriva a toccare punte del 25% nella fascia tra i 25 e i 29 anni, del 21% tra i 20 e i 24 anni e del 10% tra i 15 e i 19 anni. Anche nella generazione NEET esiste un gap di genere: infatti, il 20,5% delle ragazze italiane di 15-29 anni non studia e non lavora, contro il 17,7% dei ragazzi. Il fenomeno è differenziato anche a livello geografico: la maggior parte dei NEET si trova infatti al centro sud, in Sicilia (30,3%), Calabria (28,4%) e Campania (27,3%) seguite da Puglia (23,6%), Sardegna (21,8%) e Molise (20,3%). Perché in Italia ci sono così tanti NEET? Una delle cause può essere ritrovata nell’inefficienza della transizione scuola-lavoro: la formazione non fornisce ai giovani le competenze e il bagaglio di esperienza che è realmente richiesto dalle aziende; bisogna tenere in considerazione, poi, anche le scarse opportunità offerte dal panorama lavorativo italiano, che fanno sì che i giovani altamente formati non trovino posizioni all’altezza delle loro aspettative. Le cause sociali e psicologiche Le cause del fenomeno NEET possono essere ricercate in una serie di elementi, legati sia a fattori sociali che prettamente psicologici. Questi fattori si alimentano e si sostengono a vicenda, dando vita a un circolo vizioso che rende più difficile trovare delle soluzioni. La difficoltà nel trovare un impiego stabile e la scarsità di opportunità lavorative possono spingere molti giovani a rinunciare alla ricerca attiva di un lavoro o a escludere la formazione come possibilità di crescita. Questo circolo vizioso, alimentato dall'incertezza economica, contribuisce all'aumento del fenomeno NEET. Tuttavia, le cause non sono esclusivamente economiche. Anche i fattori sociali giocano un ruolo determinante: vivere in contesti caratterizzati da bassa produttività e profonde disuguaglianze limita le prospettive future dei giovani, restringendo le opportunità di inserimento nel mondo del lavoro o della formazione. Un ulteriore elemento critico è la scarsa conoscenza delle dinamiche occupazionali, spesso aggravata dall’assenza di un adeguato orientamento durante il percorso scolastico. Molti studenti, privi di strumenti per comprendere il mercato del lavoro e le proprie attitudini, si trovano disorientati e senza direzione, finendo per restare inattivi. Questa mancanza di consapevolezza personale e professionale rappresenta un fattore chiave nella diffusione del fenomeno NEET. Dall’altra parte, ad aggravare la situazione intervengono motivazioni di natura psicologica e personale: la mancanza di stimoli formativi e l’impossibilità di accedere al mondo del lavoro demoralizzano i giovani, che si sentono sempre più sfiduciati e scoraggiati. Diventa così ancora più difficile per loro superare le condizioni di svantaggio acquisite nel tempo, specialmente in ambito educativo, su cui influiscono la famiglia e la mancanza di integrazione nel contesto sociale. Quella dei NEET è una condizione, quindi, che sul piano psicologico esprime una profonda sofferenza: le dinamiche psichiche alla base del rifiuto o della difficoltà di adattamento al contesto sociale - e quindi lavorativo – rimandano spesso a dinamiche di tipo depressivo, aggravate dal fatto di non essere impegnati in nessuna attività e quindi non stimolati a portare avanti una propria progettualità. Altri fattori di tipo psicologico intervengono a completare il quadro: a volte, i giovani nella fascia d’età tra i 18 e i 29 anni resistono al diventare pienamente adulti, assumendosi responsabilità e rendendosi indipendenti dal nucleo familiare; inoltre, alcuni possono provare angoscia nel misurarsi con la realtà, rappresentata dall’incontro con il lavoro, temendo di non essere in grado e di fallire. Le conseguenze a lungo termine Secondo uno studio, i NEET over 25 tendono a vivere una condizione di isolamento crescente, con cerchie sociali che si restringono e opportunità di svago che si riducono, aggravando ulteriormente la loro condizione e portando a un aumento del rischio di depressione e altri problemi di salute mentale. L'assenza di un'occupazione o di un percorso formativo limita inoltre le opportunità di sviluppo delle competenze necessarie per una vita indipendente. Questo porta a una maggiore dipendenza dalla famiglia o dai servizi sociali, ostacolando il raggiungimento di una piena autonomia economica e decisionale. La mancanza di partecipazione attiva alla vita comunitaria, infine, limita le interazioni sociali e la costruzione di reti di supporto. Questo isolamento riduce le opportunità di apprendimento informale e di accesso a risorse che potrebbero facilitare l’inclusione sociale e lavorativa. La partecipazione sociale, infatti, è fondamentale per lo sviluppo di un senso di appartenenza e per l'acquisizione di competenze relazionali. Cosa cercano i giovani NEET? I giovani NEET esprimono una forte necessità di orientamento e supporto nella transizione verso l'età adulta. I principali bisogni identificati includono: stabilità lavorativa: la maggior parte dei giovani intervistati desidera un'occupazione stabile che garantisca sicurezza economica e indipendenza; formazione adeguata: molti ragazzi sentono la necessità di percorsi formativi che rispondano alle esigenze del mercato del lavoro, colmando il divario tra competenze possedute e richieste occupazionali; supporto psicologico e motivazionale: l'isolamento sociale e la mancanza di fiducia nelle proprie capacità sono aspetti critici che richiedono interventi mirati per rafforzare l'autostima e la motivazione. I progetti e le iniziative Se il problema è sfaccettato, anche la soluzione deve svilupparsi su più livelli. Per aiutare i NEET, quindi, occorre intervenire su diversi piani: aiutando i giovani a recuperare autostima e fiducia nei propri mezzi, con una sinergia tra le reti educative, le istituzioni e le comunità; offrendo una rete di supporto familiare, sociale, amicale, per evitare che l’emarginazione dei giovani inasprisca la situazione; partendo dalle realtà formative e dalla scuola, per ingaggiare i giovani a rischio di dispersione scolastica e disoccupazione per instradarli al meglio; pianificando azioni concrete a livello territoriale e locale, per raggiungere i giovani e intervenire positivamente nelle loro vite. Questo può avvenire in collaborazione con gli enti del terzo settore come nel caso del progetto Aprirsi al futuro, che abbiamo sostenuto con la Fondazione AVSI: un’iniziativa che supporta i NEET con esperienze di empowerment, orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro; oppure con progetti come Fast&Future, che abbiamo portato avanti con Borgo Ragazzi Don Bosco, per garantire ai ragazzi la necessaria formazione ma anche l’orientamento psicopedagogico, il coinvolgimento delle aziende reclutatrici in fase di formazione, il rafforzamento delle competenze linguistiche per i giovani di origine straniera e l’assistenza psicologica. La prevenzione del fenomeno Affrontare il rischio di abbandono scolastico sin dalle fasi iniziali del percorso educativo è fondamentale. Le strategie di prevenzione includono il miglioramento dell'insegnamento nella prima infanzia e un efficace orientamento scolastico e professionale. Promuovere l'autoefficacia nei giovani significa rafforzare la loro fiducia nelle proprie capacità di affrontare sfide e raggiungere obiettivi. Questo può essere realizzato attraverso metodologie didattiche inclusive, utilizzando approcci che valorizzino le diverse abilità degli studenti, incentivando la partecipazione attiva e il successo personale e attraverso attività extracurricolari, offrendo opportunità in ambiti artistici, sportivi o tecnologici per sviluppare competenze trasversali e potenziare l'autostima. Rilevare tempestivamente segnali di disagio consente di intervenire prima che si manifesti l'abbandono scolastico.